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Dott. Marco AGUGGIA |
In
che misura le emozioni che proviamo di fronte alle opere d'arte sono
dovute a meccanismi universali propri della visione e in che misura,
invece, sono determinate da condizionamenti culturali? Dietro la
fruizione di un’opera d’arte risiederebbe l'empatia, cioè la
capacità di provare ciò che sta provando chi è raffigurato e in
alcuni casi di provare ciò che provava l'artista nel momento
creativo.
Secondo
Vittorio Gallese, professore del dipartimento di neuroscienze
dell'università di Parma e scopritore, insieme a Giacomo Rizzolatti,
dei neuroni
specchio,
la risposta della mente al capolavoro artistico è mediata da una
sorta di profonda immedesimazione (cognitiva, emotiva e motoria) con
l’opera d’arte. Una tale immedesimazione, resa possibile dal
meccanismo dei neuroni specchio, ci consentirebbe di vivere,
rispecchiandole, le emozioni e le sensazioni corporee vissute dai
protagonisti raffigurati nelle opere d’arte. Il funzionamento dei
neuroni specchio ci consentirebbe persino di rievocare corporalmente
dentro di noi anche il gesto dell’artista, il colpo di
pennello sulla tela, la martellata sul marmo. La
maggior parte delle volte, quando guardiamo un opera d'arte, ne
restiamo più o meno affascinati. Immediatamente, senza rendercene
conto cerchiamo di interpretarne il "senso", o
semplicemente siamo attratti dalle linee e dai colori. In ognuno di
noi si muovono emozioni più o meno forti, sentimenti e stati d'animo
a volte travolgenti che inevitabilmente sottendono o meno
l'esperienza estetica del bello. I
sentimenti, i ricordi, il piacere che possiamo percepire, possiedono
un forte carattere individuale, essendo collegati a diverse
componenti: genetiche, ambientali e formative. Mentre tale
variabilità rimane ancora un campo pressoché sconosciuto, le
ricerche hanno identificato il processo d’origine di alcune
percezioni elementari e comuni in ognuno di noi. Ogni individuo della
specie umana risponde con i medesimi processi fisiologici alla
percezione di un oggetto e medesime aree cerebrali, in individui
cresciuti in culture distanti, si attivano quando percepiscono
un’opera bella o brutta. Certamente, l’attività di questi centri
può essere modulata dal contesto (ad esempio quando un quadro è
esposto in una galleria d’arte piuttosto che in un appartamento),
dall’interesse che suscita l’opera osservata e dalle esperienze
personali. Pare lecito poter affermare che il concetto di bellezza
esiste dentro di noi, mentre l’oggetto a cui questo concetto viene
associato può invece essere molto variabile.
Mentre
il nostro sistema visivo osserva la realtà, compie una continua
ricerca delle proprietà costanti della stessa, filtrando attraverso
l'attività della corteccia cerebrale gli elementi essenziali al di
là della continua mutevolezza del reale, allo stesso modo in cui
l'artista evidenzia nella sua opera solo quelle caratteristiche della
realtà indispensabili alla rappresentazione. La conoscenza
attraverso l’analisi e la registrazione delle qualità costanti ed
essenziali è dunque una caratteristica fondamentale dei processi
cognitivi, così come nell’arte, tanto che l'opera di molti artisti
pare il tentativo inconscio di rappresentare la realtà così come è
veramente, in modo rigoroso, e non continuamente mutevole come la
vediamo. E’ quindi ipotizzabile che, attraverso l'arte, si possano
scoprire e comprendere i meccanismi cognitivi utilizzati dal nostro
cervello per l'esplorazione e la conoscenza del mondo che ci
circonda..
L'arte,
dice Zeki, è concepita dall'artista ed apprezzata dal suo pubblico
grazie ad una serie di operazioni che si svolgono nel cervello
dell'uomo e quindi anche l'esperienza estetica è soggetta alle leggi
che regolano le attività cerebrali e le strutture nervose coinvolte.
Siamo animali visivi, animali spaziali, per i quali, secondo un
modello di approccio psico-cognitivo, il confine tra arte e scienza
pare destinato ad annullarsi.
La
neuroestetica fino ad oggi ha investigato principalmente l’arte
visiva, perché la parte del cervello dedicata alla visione è molto
ampia e ben conosciuta. Il nostro sistema visivo reagisce ai quadrati
di Malevitch, alle linee ortogonali di Mondrian, ma anche alle
sculture incompiute di Michelangelo, perché esistono dei neuroni che
rispondono solo alle righe con una particolare inclinazione, ed altre
che rispondono alle forme anche semplicemente abbozzate. Secondo
Semir Zeki gli artisti possono essere paragonati a dei neurologi che
studiano con i loro mezzi le proprietà fisiologiche del cervello.
Infatti, non è un caso se il campo recettivo delle cellule nell’area
visiva che elabora l’informazione cromatica assomiglia in modo
incredibile ad un quadrato di Malevich. O se Alexander Calder nelle
sue opere elimina il colore per enfatizzare il movimento così come
avrebbe fatto un fisiologo per disegnare lo stimolo migliore per
l’area visiva che elabora il movimento, la cui attività è appunto
ridotta dalla presenza di un colore.
Capire
come funziona il cervello nel caso particolare dell’esperienza
estetica è un obiettivo ambizioso, ma non impossibile grazie alle
moderne tecniche di neuroradiologia e neurofisiologia quali: la
risonanza magnetica funzionale, la tomografia ad emissione di
positroni, la magnetoencefalografia ed i potenziali evocati
cognitivi.
Oggi
la neuroestetica si occupa principalmente d'arte, ma in un futuro
prossimo si propone di affrontare anche altri campi come la
religione, la morale, la letteratura e la giurisprudenza. Si
cercheranno così, per vie nuove, le risposte a vecchie domande
fondamentali per l'uomo che cerca di capire se stesso, il suo passato
ed il suo futuro.
Dott. Marco Aguggia
Neurologo,
Neurofiosiologo e Fisiatra
Direttore
Neurologia Ospedale G. Massaja Asti